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Il cuore a Siquijor

E così siamo già arrivati all’ultimo giorno del 2012. La giornata si prospetta anche oggi alla scoperta di quest’isola che ci ha accolti e abbracciati come fossimo suoi figli. Marco si sveglia all’alba e perlustra la spiaggia che con la bassa marea sembra più una palude dove si affonda fino alle caviglie. L’attività principale a quest’ora consiste nella raccolata dei ricci di mare. Quando torna, dopo  una breve colazione,  noleggiamo le moto e partiamo verso sud, risalendo poi sulla costa est.

In secca

In secca

Bassa marea

Bassa marea

Caccia al riccio

Caccia al riccio

Ci fermiamo prima in un resort che ci hanno consigliato per la festa di fine anno, ma lo scartiamo perchè il prezzo della cena è alto, l’ambiente è fighetto e gli ospiti non sono allineati esattamente al nostro mood!

Ripartiamo fino ad arrivare alle porte di Lazi, nella provincia adiacente a San Juan: qui troviamo sulla strada una piscina di sorgente sovrastata da un albero secolare enorme. Sembra di essere in una foresta incantata, o in qualche luogo magico visto solo nei film fantasy. I bambini si divertono a nuotare e a nascondersi tra le radici dell’albero.

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Nascondino

Proseguiamo e giungiamo a Lazi, dove ci fermiamo per dare un’occhiata al convento e la chiesa di San Isidro: la sua bellezza è la decadenza. Abituati a vedere templi e chiese tirati a lucido, questa ci colpisce per l’intonaco scrostato, le teche con i santi tutte storte, il soffitto con qualche buco. È affascinante in questo senso, lo hanno lasciato così come l’avevano costruito alla fine dell’800.

Da qui prendiamo una strada secondaria che ci porta alle Cambugahay falls: un altro paradiso nel paradiso! L’acqua è di un azzurro intenso e saltella di vasca in vasca allegramente. Noi 3 donne non abbiamo dubbi e ci tuffiamo impavide, mentre i due maschietti ci osservano dalla riva. L’acqua non è fredda e le cascate sono un idromassaggio naturale: spenderemmo volentieri più di un’ora a mollo, ma la fame chiama. Ci indicano l’unico locale vicino al porto: sull’insegna campeggia un pacifico maiale. Io assaggio la frittata di melanzane e gli involtini primavera in versione filippina, cioè con verdura e molto più lunghi rispetto a quelli classici. Sul finire del pranzo vediamo arrivare, trasportato su una moto, il famigerato maiale dell’insegna: viene posizionato sul tavolo e tagliato in due punti da un omone col machete. Lo spettacolo non è dei migliori, perciò ci muoviamo e facciamo un giro della città, o meglio, delle due vie principali. Al mercato spopola il pesce, io invece mi compro un gelato in farmacia (sì, in farmacia!). Fa davvero molto caldo oggi, riprendiamo le moto e andiamo a Kagusuan beach, a cui si accede da una ripida scaletta. É una spiaggia piccola, una baia in cui vediamo i pescatori tornare con le loro barche dalla giornata lavorativa. Qui il fondale sembra prestarsi meglio al bagno, ma in realtà anche qui bisogna spingersi in là perchè si alzi, e ci sono i soliti ricci di mare!

Ci muoviamo in fretta per non trovare il buio al ritorno, la destinazione è Salagdong beach, in cui finalmente la marea non dovrebbe essere un problema. Ma prima di giungere, sulla strada, la nostra moto muore: dopo alcune analisi, concludiamo che c’è qualche problema con la benzina, per cui Clio e Claudia tornano indietro e ci portano una bottiglia di green gasoline. Giungiamo alla spiaggia, che fa parte di un complesso che pare in ristrutturazione: qui davvero l’acqua è stupenda e avvistiamo anche una tartaruga, che fa capolino ogni tanto con la testa e il corpo. Claudia è l’unica che si tuffa, ma si sta facendo buio e torniamo verso San Juan dalla stessa strada percorsa. Non è il massimo viaggiare col buio, qui l’illuminazione sulla strada non c’è e alcune parti sono senza asfalto (anche se, in generale, devo dire che le strade sono le migliori trovate finora), ma arriviamo a casa sani e salvi.

Rosso di sera

Rosso di sera

Dobbiamo organizzarci per capodanno! Ordiniamo la cena che ci viene recapitata direttamente ai bungalow, e mangiamo sul tavolo con intorno la capannina di paglia… che cenone singolare!

Happy new year!

Happy new year!

Il menu non può non essere a base di pesce. Concludiamo con un cocktail casalingo di rhum e succo di ananas. A cinque minuti alla mezzanotte ci spostiamo di un centinaio di metri e assistiamo ai fuochi d’artificio dell’altro resort, imbucati come i filippini lì intorno (ma si sta molto meglio fuori con loro, che dentro con i turisti). Ma noi vogliamo qualche festa con i locals, così riprendiamo le moto (noi tre ragazze insieme sullo scooter, come i filippini, mentre Marco porta Filippo sull’altra) e andiamo a Siquijor, dove ci dicono di una festa in piazza. Dopo alcuni giri, ci accodiamo a un gruppo di adolescenti tamarri che sgasano per le vie del centro, e finiamo nella festa al campo di basket, alzando la media dell’età. La musica è, ovviamente, tamarra, ma ci divertiamo, anche se io vorrei stare distesa a letto dal sonno che ho! Tornando a casa Claudia e Filippo bucano (non è che qualcuno ci ha tirato il malocchio?!?), così fermiamo un signore che porta Filippo con lui, mentre Claudia prosegue pian piano da sola, e noi altri tre sull’altra moto. Ce ne andiamo a letto comunque contenti, mentre Claudia, Clio e Filippo fanno il bagno in mare.

Il primo giorno del 2013 scorre tranquillo, giusto il relax necessario per riprenderci dai bagordi: un po’ di piscina, il bucato, la spiaggia, cosa chiedere di meglio? La serata riserva però una sorpresa, l’ennesima da quando siamo qui: ci dicono che alle 21 ci sarà il concorso di Mister Macho Gay. Incuriositi al massimo, andiamo a vedere di che si tratta, e restiamo a bocca aperta: su un palco più o meno improvvisato il presentatore simpaticissimo fa sfilare i cinque partecipanti: uomini vestiti da donna che devono affrontare più prove, di fronte ai cinque selezionati della giuria. Dallo sfilare in costume, al raccontare barzellette, alla sfilata in passerella con abiti da sera. Il tutto viene seguito da grandi e piccini, che urlano e tifano come se fossero allo stadio. E pensare che qui la chiesa regna sovrana, in Italia non si potrebbe mai organizzare un evento del genere! Divertiti e straniti per questo strano spettacolo, torniamo ai bungalow.

Così riprendiamo le energie per il nostro ultimo giorno a Siquijor: noleggiamo di nuovo la moto e ci lanciamo nella parte dell’isola che ancora ci manca, quella a nord est. Di chilometro in chilometro troviamo paesaggi che alternano spiagge e mare a colline piene di vegetazione. Tutti nei villaggi ci regalano sorrisi e saluti: qui credo che raggiungiamo un picco di cordialità e disponibilità forse maggiore che quelle trovate in Cambogia e Laos.

Overbooking

Overbooking

Pesce on the road

Pesce on the road

Prospettive differenti

Prospettive differenti

Fertilizzando

Fertilizzando

Ci incrociamo per il pranzo con gli altri, che nel frattempo stanno visitando alcune proprietà per il loro progetto per il futuro. Nel pomeriggio non riusciamo a esplorare come vorremmo i luoghi perchè si alternano scrosci di pioggia a temporali, così torniamo. Anche perchè alle 17.30 mi aspetta un fantastico massaggio con Junel! In realtà non pensate a relax e benessere, piuttosto a dolori intensi e continui! Mi aveva avvertito, però così no, non si fa, io sono in vacanza! Lui unisce anche principi di riflessologia e fisioterapia, mi dice cose che corrispondono perfettamente al mio stato fisico, e io resto stupefatta. Nel frattempo arriva un temporale forte, che riprende dopo cena per continuare tutta la notte (insieme alle stelle in cielo se ne va anche l’elettricità). Ci piange il cuore dover lasciare quest’isola, restano ancora luoghi da vedere e sorrisi da incrociare, ma dobbiamo ripartire, per trascorrere un giorno a Cebu e poi dirigerci a Bangkok per gli ultimi giorni. Lasciamo il cuore in questo angolo di paradiso, che ci ha accolti e avvolti con i suoi misteri e le sue bellezze. Lasciamo l’isola in una mattina di tempesta, con un vento che spazza il porto, ma per fortuna ci permette di partire (non vi dico che bel viaggio col mare in burrasca!).

Specchio delle mie brame

Specchio delle mie brame

Same same but different

Same same but different


Siquijor, isola magica

Facciamo colazione all’ostello e ci dirigiamo verso il porto per prendere la nave alle 8.30. La barca fa tappa a Dumaguete e poi approda a Siquijor alle 11.30. L’imbarcazione è sballottata dal vento che ci attende al porto: il cielo è azzurro intenso e subito siamo accolti da sabbia sottile e acqua trasparente. All’uscita troviamo anche un tricycle driver che ci chiede se siamo gli italiani amici di Clio e Filippo: fantastico, ci è venuto a prendere! Il viaggio è di circa 20 minuti, il nostro resort sta a San Juan, capoluogo di una delle 5 province dell’isola. Arriviamo e sembra un sogno: il nostro bungalow è direttamente sulla spiaggia, costellata di palme altissime e piene di noci di cocco! Clio, Claudia e Filippo stanno smaltendo la sbornia della sera prima: il venerdì sera è un must qui il JJ’s, dove tutta la gente si diverte col karaoke e la musica dal vivo!

Dopo mesi di astinenza ci cuciniamo una pasta -il bungalow è anche dotato di cucina! Il pomeriggio corre tranquillo, io esploro la piscina del resort e andiamo a fare la spesa a San Juan: frutta, verdura, riso, caffè e biscotti. L’unico cruccio qui è la bassa marea, che non permette di nuotare nel mare perchè si tocca almeno per un kilometro buono e ci sono i ricci di mare ad attentare la pianta dei piedi.

Per cena decidiamo di trovare un posto lungo la spiaggia, così facciamo una bella camminata con l’alta marea e ci fermiamo nell’unico posto in cui troviamo gente. Il cibo però è pessimo, ma siamo affamati e mangiamo, con la certezza che lì non torneremo più. Il bungalow è dotato di zanzariere, quindi la brezza marina ci permette di dormire tranquillamente senza ventilatore (anche perchè qui la corrente elettrica non è una certezza, capita che non ci sia).

Il giorno successivo esploriamo l’isola nel suo lato più oscuro e famoso: i guaritori. Qui c’è un lunga e importante tradizione di persone che, con tecniche differenti, cercano di guarire la gente sia dagli spiriti maligni (malocchio compreso), sia da mali fisici. Ci accompagna Junel, un ragazzo che ha abbandonato la strada da guaritore perchè era troppo faticosa psicologicamente e conosce molto bene i “maestri”. Il nostro driver è Do Dong, che lavora vicino al nostro restort. Con il minivan del proprietario iniziamo il nostro tour, che inizia da una signora di 78 anni che pratica il bolo bolo: per capire se c’è qualcosa che non va passa un bicchiere con dell’acqua e una pietra particolare sul corpo, soffiando aria con una cannuccia. Se una zona ha qualche problema, nell’acqua si materializzano detriti simili ad alghe, e succede davvero! Come rimedio lei dispensa questo olio composto dalle decine di erbe che i guaritori raccolgono qui e in altre isole durante i venerdi di Quaresima. La signora è simpatica e molto curata, unghie di mani e piedi sono perfettamente dipinte con smalto nero. La gente viene continuamente da lei, è una sorta di autorità nei dintorni (chissà se guarisce davvero!).

Terapia

Terapia

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Osservando la guaritrice

Per la seconda tappa saliamo in collina e incrociamo la pioggia. Arriviamo nella casa di un altro guaritore, che è specializzato soprattutto nel togliere (o mettere, a seconda) il malocchio. La sua tecnica è quella del fumo: prepara il fuoco con del carbone e ci aggiunge dell’olio preparato con erbe, probabilmente simile a quello visto in precedenza. Posiziona il pentolino sotto la sedia della persona, che viene invasa dal fumo, mentre lui pronuncia delle preghiere. Tocca alcune parti con le dita unte dallo stesso olio.

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A casa del guaritore

La terza guaritrice utilizza il massaggio come mezzo per guarire, quindi si occupa soprattutto di malesseri fisici muscolari. Stavolta Marco si sottopone al trattamento, chissà che non giovi alla sua schiena! Prima lo copre con un lenzuolone tipo quello che usano i parrucchieri, chiuso intorno al collo, e posiziona dell’olio che brucia sotto, per fargli fare una sorta di sauna. Poi inizia con la perlustrazione con le mani per capire le zone afflitte da malessere, e in effetti si sofferma sulla schiena. Qui allora passa alla manipolazione più profonda (la faccia di Marco non è delle più felici) e applica delle foglie in basso, da staccare dopo che si saranno seccate. La signora vende anche amuleti che hanno differenti scopi: contro il malocchio, per proteggere dai proiettili, per l’amore e per la salute.

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Bimbo incuriosito

Si è fatto tardi e vorremmo pranzare: Junel ci dice che lì vicino c’è la festa del patrono, per cui siamo invitati in una casa dove tutto il villaggio sta mangiando. Ci accolgono con sorrisi e abbracci tutti (diciamo che il livello alcolico non è basso), ci fanno sedere al tavolo e finalmente riusciamo a gustarci dell’ottimo cibo filippino. Dal pesce al maiale (la testa dello sventurato è poggiata al centro della tavola e tutti, a turno, tagliano parti delle guance), dai noodles al pollo, tutto è di qualità e noi non ci tiriamo indietro. Nella piazza antistante c’è poi la vera e propria festa: proviamo a giocare a una sorta di roulette con i dati e le puntate, ma perdiamo regolarmente! Poi ci facciamo cantare una canzone da una signora simpaticissima, che suona una piccola chitarra e coinvolgiamo metà villaggio.

Dopo aver salutato tutti, proseguiamo per l’ultimo healer: un signore che, in questo caso, non porta a termine guarigioni vere e proprie, ma può capire se il problema è fisico o di malocchio, in modo da indirizzare successivamente verso un guaritore specifico.

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Occhi che brillano

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Felici con poco

Una caratteristica comune dei guaritori che abbiamo incontrato sembra essere il sogno: tutti hanno avuto dei sogni riguardo la loro “vocazione”, delle indicazioni arrivate tramite l’inconscio e poi trasformatisi in pratica. Tutti hanno iniziato molto giovani, intorno ai 12 anni, alcuni hanno ereditato il dono secondo una linea dinastica, dai nonni o dai genitori. Questo mondo è molto affascinante, soprattutto perchè è arrivato fino ai giorni nostri, anche se ora sta prendendo un po’ troppo la piega del commerciale per il turismo. Ma certo è che la maggior parte dei locals ci va regolarmente, nonostante siano presenti comunque anche medici ed ospedali (che costano molto di più!). Non saprei dire se ci credo o meno, però qui c’è un elemento che nella nostra medicina moderna manca totalmente: la visione globale. Il malessere fisico è spesso legato a un malessere interno, e comunque collegato in qualche modo a qualcos’altro del nostro corpo. Se noi andiamo dal medico per il bruciore di stomaco, ci prescrivono le medicine per farlo sparire al momento, ma nessuno cerca di capire perchè lo stomaco si comporti così. Magari ci fa male un piede, ma la vera fonte non è lì, ma da un’altra parte!

La giornata è intensa, per fortuna stavolta riusciamo a vedere il tramonto di fronte ai nostri magici bungalow, e l’anima si rasserena. Per cena i due cuochi (Filippo e Marco) si dividono nelle rispettive cucine: da una parte carote saltate e riso, dall’altra frittata di patate. Che cenetta!

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Relax da sogno

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Tramonto sulla “nostra” spiaggia


Bohol: i tarsiers e le colline di cioccolato

Al porto di Tagbilaran chiediamo informazioni: sulla mappa il nostro ostello è a un paio di kilometri perciò decidiamo di restare per acquistare il biglietto della nave per la tappa successiva. Purtroppo anche qui si ripresenta la scena già vista il giorno prima, code infinite e bolgia infernale. Con la differenza che, qui, i ticket office sono al chiuso senza aria condizionata. Mi metto in coda mentre Marco aspetta fuori, insieme ai bagagli. Altre due ore passate alle porte dello Stige e torno vittoriosa con due biglietti per la nave diretta a Siquijor del 29. Dietro di me c’è un australiano alto due metri che sembra uscito dalla doccia talmente è sudato e ogni 3 parole inserisce un “fucking” riferendosi alla situazione assurda.

Marco nel frattempo ha fatto amicizia con Roland, un conducente di tricycle che aspetta più di un’ora per portarci all’ostello. Qui il tricycle è il mezzo principe che affolla le strade. Si tratta di un tuk tuk alla filippina: sembra un sidecar, ma al posto di avere la carrozzella ha una sorta di cabina annessa alla moto. Ognuno ha un colore diverso e tutti hanno una scritta sul lato posteriore che si riferisce a Dio (qui è terra di missioni -e devastazioni- del cristianesimo). Nella nostra top ten personale spiccano: “God knows”, “God is good”, “Jesus is the king”.

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Bible on the road

L’ostello è carino, anche se la nostra camera con ventilatore ha una temperatura media di 35 gradi nel pomeriggio. La città ci sembra subito molto meglio rispetto a Cebu city, ma anche qui troviamo centri commerciali in ogni angolo. La gente è molto cordiale e sorridente, soprattutto quando Marco estrae la macchina fotografica, tutti si mettono in posa e ridono. Molti ci guardano con stupore: credo non siano eccessivamente abituati a vedere turisti occidentali, qui il turismo è soprattutto coreano e cinese.

Aspettando

Aspettando

Restiamo stupiti dal livello generale dell’inglese: moltissimi lo conoscono e lo parlano con accento americano, quasi fosse la loro prima lingua. Anche quando parlano tra di loro spesso utilizzano parole anglosassoni. E io che pensavo di trovare un po’ di spagnolo!

Ci sentiamo tranquilli, la gente è accogliente, ma tutt’intorno continuiamo a incrociare poliziotti (sia privati che statali) dotati di fucili a pallettoni e armi varie. Eppure non percepiamo pericoli, né assistiamo ad atti di violenza… il ragazzo dell’ostello ci spiega che qualche giorno fa hanno rapinato un centro commerciale dopo mezzanotte e quindi i controlli sono aumentati. Ma non penso che, normalmente, siano molti meno!

In centro ci sono ancora antichi edifici risalenti all’epoca degli spagnoli, in una chiesa assistiamo a un matrimonio in cui il prete parla in inglese. Fuori dall’edificio di culto un dettagliatissimo cartello mostra quali vestiti sono ammessi all’interno e quali no, comprese illustrazioni dei vestiti da sposa. Qui sono ultraconservatori.

Per cena troviamo su TripAdvisor un ristorante di cucina tipica filippina (perchè, esiste?), segnalato come il migliore in tutta l’isola. L’ambiente è piuttosto ricercato -tenendo conto degli standard visti finora, e le porzioni sono da famiglia: la zuppa di pesce basta per 4 persone! I sapori sono particolari: nella zuppa, oltre a gamberi, totani e granchi, c’è la mandorla. Pieni come due uova torniamo all’ostello in attesa di Claudia, Clio e Filippo, che arrivano intorno alle 22.30, stanchissimi dal viaggio (doppio aereo e poi nave da Cebu).

Marco punta la sveglia alle 5.30 perchè ha controllato i voli sull’aeroporto e ce n’è uno che arriva intorno alle 6: ieri ha visto che lo scorcio sopra la città è ad effetto. Peccato che l’aereo non passerà mai… appostamento inutile, ma fa parte del duro lavoro del fotografo! A colazione chiacchieriamo un po’ della loro prima parte del viaggio in Filippine e del nostro girovagare. Ci diamo appuntamento a Siquijor, loro ripartono il giorno stesso!

Tagbilaran all'alba

Tagbilaran all’alba

Noi ci dirigiamo alla stazione degli autobus, dietro il mercato: qui ci facciamo indicare il mezzo che ci può lasciare vicino alle chicolate hills e tutti ci dicono la stessa cosa, l’autobus per Carmen (qui tra l’altro i nomi delle città sono rimasti spagnoli, quindi si trova Valencia, Cordoba e tutte le altre). Sul bus sono tutti cordiali, ci sorridono e ci salutano. Paghiamo esattamente la stessa cifra dei locals, senza esitazione: qui siamo uguali a loro anche se turisti occidentali, che bello! Vicino a noi si siede un signore che inizia a chicchierare: è una sorta di predicatore di una congregazione cristiana, ci parla per mezz’ora della Bibbia… scopro tra l’altro che lavora nella tv e il suo contratto è a tempo indeterminato! Appena lasciata la costa sul mare, il paesaggio che ci si spalanca davanti agli occhi è incredibile: distese di campi di riso verdissime alternate a colline scoscese e coperte di vegetazione. Finora mai ci era capitato di osservare un verde così brillante! Dopo circa due ore di saliscendi, passando per paesini che conservano ancora le chiese dal fascino sudamericano, costruite dagli spagnoli nel XV secolo. Scendiamo ai piedi della salita che ci porta alla terrazza panoramica sulle chocolate hill: una distesa di colline dalla forma perfettamente conica, coperte da erba continua e ininterrotta, come fosse una coperta poggiata sulla zona.

Chocolate Hils

Chocolate Hills

Qui però è pieno di turisti, essendo una delle attrattive fondamentali di tutta Bohol, e cerchiamo di andarcene il prima possibile. Riprendiamo l’autobus sulla strada, per nostra fortuna passa quasi subito. Diciamo alle persone di indicarci gentilmente quando siamo nei pressi del santuario dei tarsiers, tra i primati più piccoli al mondo. Pensavamo di vederli lontani, sugli alberi, invece se ne stanno tranquillamente ancorati ai rami degli alberi, riparati dal sole. Sono animali notturni, quindi di giorno passano il loro tempo sonnecchiando e dormendo. Sono tenerissimi, alti circa 10cm e con una lunghissima coda. Hanno lunghe dita dinoccolate che permettono loro di stare ancorati ai rami degli alberi anche mentre dormono, mentre gli occhi sono grandi, rossi e perfettamente rotondi: il tutto li fa sembrare dei dolci mostriciattoli, un incrocio tra Yoda, ET e Gollum.

Timido

Timido

Felice

Felice

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Infastidito?

Riprendiamo al volo l’autobus che ci riporta a Tagbilaran, ci sistemiamo e andiamo a letto, per svegliarci intorno alle 6 l’indomani mattina. Al porto di Bohol ci aspetta la barca per Siquijor!


La nostra porta per le Filippine: Cebu

Atterriamo a Cebu, una delle 7000 isole delle Filippine, intorno all’una del mattino. Gli steward della Cebu Pacific ci accompagnano fino all’ingresso con l’ombrello, dato che piove a dirotto. Ai controlli dei passaporti ci aspetta una coda infinita, che si smaltisce dopo un’ora buona. Ritiriamo gli zaini e cerchiamo un Atm per avere moneta corrente. I taxisti ci chiedono cifre doppie rispetto a quanto dovremmo spendere, perciò cerchiamo in un’altra piazzola e troviamo i taxi con il meter. Il nostro driver è molto simpatico, il suo viso somiglia all’attore di colore de Il miglio verde. Ci racconta che è strano che in questo periodo a Cebu ci siano ancora Tifoni o problemi col tempo, ma ci rassicura concludendo con un rincuorante “di solito durano uno o due giorni al massimo”. Esausti arriviamo in albergo verso le 2.30, saliamo in camera e, dopo vari e vani tentativi con Skype per gli ultimi auguri di Natale (in Italia è ancora il 25 dicembre), crolliamo a letto. La stanza non è male, peccato che alle 6 del mattino non parta un motore -probabilmente legato all’evacuazione dei fumi del bar sottostante- che ci sveglia e non ci permette più di dormire. Non c’è acqua calda in bagno, per cui dopo una veloce doccia ci dirigiamo verso il porto. Qui inizia una delle ennesime scene da raccontare. Agli sportelli dei ticket office c’è già molta gente e un cartello appeso avverte la gente che le corse del 26 dicembre sono sospese causa allerta 1 tifoni. Tentiamo di capire cosa stia succedendo, ma nessuno sembra avere notizie certe. Per cui io mi metto in coda agli sportelli. Dopo un’ora e mezza arriva il mio turno e chiedo alla ragazza due biglietti per Bohol. Lei mi spiega che, causa cattive condizioni meteo, le corse del pomeriggio non sono garantite e devono attendere il bollettino del “weather man”. Le chiedo di nuovo cosa possiamo fare, lei, serafica, mi dice “aspettare”. Eh bhè, finora che abbiamo fatto? Torno da Marco che, in un eccesso di rabbia, alza la voce (tutti si girano, qui non è abitudine farlo) e dice che dopo tutto questo tempo almeno un biglietto lo dobbiamo avere in mano! Allora torno allo sportello, di fianco a me una ragazza mi spiega che la nave delle 11.30 ha imbarcato le persone, che poi sono state fatte scendere perchè da Bohol non hanno dato il permesso di partire. Anche lei sta acquistando i tickets per la corsa del giorno successivo alle 6.30 del mattino. Così faccio pure io, sperando che il tempo migliori. Nel frattempo dietro di me la coda è notevolmente aumentata, ci saranno almeno 200 persone. Il problema -oltre alla totale disorganizzazione e alla lentezza degli addetti allo sportello- è l’accumulo di corse soppresse per il maltempo: tutti devono o farsi rimborsare o cambiare il biglietto e queste operazioni sono possibili solamente agli sportelli (tre in totale, uno è chiuso, è Natale… sembra di essere alle Poste Italiane). La differenza con l’Italia è che, qui, nessuno si scompone, tutti stanno in fila -e non tentano di fregarti il posto nonostante non ci siano i numerini. Siamo pur sempre nel sudest asiatico, no?
Con i due biglietti in mano tentiamo di capire come muoverci. Non abbiamo la guida, ma fortunatamente avevo fatto le foto alle pagine di Cebu dalla guida di Alex e Stefi, così scegliamo un hotel consigliato che sia nei pressi del porto: hotel De Mercedes. Il taxista lo conosce e ci porta diretti, facendoci attraversare Colon, la via più antica della città. L’albergo è un po’ decadente, ma per una notte va più che bene. L’idea di passare ancora un giorno a Cebu non mi esalta, la città è piuttosto bruttina e molto incasinata. In strada non si trovano posticini per mangiare e ci rifugiamo all’ultimo piano di un centro commerciale. Non credo di essere mai stata in un luogo tanto alienante e triste allo stesso tempo: pareti gialle stile ospedale, niente finestre, condotti dell’areazione a vista e puzza di fritto. La carne del nostro hamburger ha un’altezza di circa 2mm e la consistenza di una suola. Ci aggiriamo per gli stand alla ricerca di altro cibo perchè quello è stato più un antipasto… Marco si lancia su una sorta di zuppa di riso in cui il riso è diventato una pappetta simil semolino e i pezzi di bambù sono duri come il marmo. Io mi arrischio con un uovo alla piastra e riso con trito di carne, fortunatamente passabile. Certo in giro non vediamo nulla di vagamente sano da ingerire: sembra che i Filippini mangino solo pollo e pesce fritti. Giriamo un po’ per la città, che non ha nulla di interessante né di particolarmente bello. Vicino al porto c’è ancora il forte costruito dagli spagnoli nel 1500, dopo essere sbarcati e aver conquistato l’isola. Tra l’altro è proprio qui che è morto Magellano, ucciso dal capo dell’isola!
Nel pomeriggio stiamo un po’ nella hall dell’albergo e cerchiamo informazioni riguardo la situazione meteo e su Bohol, nostra prossima destinazione. Qui conosciamo una coppia di italiani con un bambino, Giacomo, di 7 anni, che stanno viaggiando per le Filippine. Ci raccontano che sono arrivati da un’isola del nord e hanno avuto problemi con l’aereo perchè era proprio zona di maltempo, ma alla fine sono partiti. Hanno desistito dal prendere il biglietto per Bohol perchè sono arrivati al ticket office in tarda mattinata e la coda era davvero eccessiva. Sperano anche loro di partire domani e ci raccontano dei loro viaggi degli anni precedenti, anche con il bimbo piccolo, mitici!
La sveglia suona alle 4.45, siamo al porto alle 5.15, tranquillamente in tempo per i controlli e il check in del bagaglio in stiva e l’imbarco. Il mare stamattina è una distesa piatta, anche se in cielo ci sono nuvoloni scuri che non promettono bene. Il viaggio dura due ore, l’unico inconveniente è la solita aria condizionata esattamente alle nostre spalle… approdiamo al porto di Tagbilaran, a Bohol, alle 8.30: c’è il sole.